Assistere un malato oncologico



Psicoterapia e Consulto Psicologico: Individuale, di Coppia e Familiare

Assistere un malato oncologico, come affrontare la malattia senza annegarci dentro !

Da una ricerca avviata nel nostro Paese, così come a livello internazionale, si e' saputo che l’assistenza ai malati di cancro è in gran parte a carico degli informal caregiver, ovvero coloro che accudiscono questi pazienti non appartengono al mondo sanitario, anzi, sono quasi sempre dei familiari(1). Uno studio condotto sulla popolazione italiana rileva che il 92% del campione studiato è stato assistito da un informal caregiver negli ultimi mesi di malattia. Nello specifico tra i 1.271 caregiver che hanno partecipato all’indagine, il 46% è un figlio, il 31% il coniuge, il 20% un altro parente o un amico e solo nel 3% dei casi una figura sanitaria (1).

Cosa significa assistere un malato oncologico? Troppe, tante cose.

Innanzitutto un inversione di ruoli: spesso la persona accudita era in precedenza un genitore accudente, che adesso va sostenuto in tutto, o un marito lavoratore, che adesso non puo' contribuire economicamente, o una moglie tuttofare, che adesso non puo' occuparsi ne' della casa, ne' dei figli. Non e' solo una questione di sostegno fisico ed economico, ci si ritrova all'improvviso davanti una persona sofferente che deve rivedere completamente il suo ruolo e le sue funzioni, il che e' spesso doloroso, altrettanto l'accudente, che assume e svolge funzioni nuove, deve imparare velocemente e sviluppare autocontrollo, decisionalita', capacita' organizzative.

Ma essere un "familiare accudente" significa anche offrire sostegno emotivo, declinato in modi diversi a seconda dello stadio di avanzamento della malattia. All'inizio, il parente accudente aiuta il malato a superare lo schock cercando informazioni, contattando professionisti e strutture, rassicurando e confortando. Poi, accertata l'entita' della malattia, il sostegno si traduce in compagnia, elaborazione psicologica del senso di smarrimento e paura; l'accudente funge da spugna dei malesseri emotivi del malato, accogliendo ogni atto emotivo e restituendo forza e coraggio.

Ma tutto cio' ha un costo, importante, per il caregiver. In termini di energia fisica e mentale, di tempo, con grosse ricadute sul lavoro personale e sulla famiglia, sull'organizzazione generale, infine sulla salute stessa dell'accudente. Alcuni studi dimostrano che, dopo un certo lasso di tempo, lo sforzo d'aiuto puo' pesare al punto tale da produrre sintomi depressivi. Anche perche' entrano in gioco altri processi, piu' nascosti ma molto potenti, che trasformano la malattia in una gabbia, dalla quale uscire diventa difficoltoso.

Ad esempio, quando l'accudente e' una persona giovane, senza una propria famiglia, senza un lavoro fisso, sembra logico a tutti che, in un sistema dove sicuramente ci sono piu' persone, l'ultimo rimasto in casa si prenda il carico maggiore, a scapito della sua vita personale. Il giovane/la giovane di turno prova gran senso di colpa nel desiderare spazi di liberta', momenti di felicita' personale, quando in casa c'e' una malato. Per cui impara a "rimuovere la naturale gioia di vivere" e si concentra solo sulle esigenze altrui, grazie anche alle richieste esplicite presentate da parenti e vicini.

Spesso sono donne le persone accudenti, hanno un maggior spirito di sacrificio che le puo' portare ad oltrepassare il limite dell'autoconservazione, trascurando completamente se stesse, figli e coppia coniugale: imparare a delegare e' un passo fondamentale per queste donne, che rischiano, con tutti i loro buoni propositi, di andare completamente in crisi psicologica da stress.

Come affrontare la malattia di una persona cara senza cadere sotto i colpi dello stress?

Per prima cosa, creare una buona comunicazione con l'accudito, ovvero parlare chiaramente della malattia, responsabilizzare il malato circa le decisioni che riguardano la sua salute e accogliere con pazienza le richieste emotive e fisiche, dopo aver chiarito con se stessi fin dove, umanamente, ci si sente di poter arrivare. Meglio essere sinceri e rifiutare compiti insostenibili piuttosto che assistere chi soffre con ambiguita', ansia e rabbia.

In secondo luogo, accettare la realta' della malattia contenendola: la vita prosegue per tutti, e' giusto confortare un malato quanto prendersi momenti di svago, fare progetti, aver voglia di vivere. In questo modo si aiuta il malato a fare lo stesso, relegando la malattia in uno spazio contenuto della propria vita, mantenendo degli spazi vitali essenziali per ricaricarsi e quindi affrontare meglio le difficolta' . Se il malato o il caregiver possono ricaricarsi con momenti di vita e gioia, ogni battaglia e' affrontabile; al contrario, annegando nella malattia, molto meno!

Il supporto psicologico per i caregiver rappresenta un passo fondamentale, significa riconoscersi il diritto a ricevere aiuto per l'aiuto dato; e' uno spazio dove poter parlare liberamente di tutte le emozioni in gioco, dalla paura di morire alla rabbia, all'ansia per il tempo che non c'e' al timore di incrinare i rapporti affettivi, un luogo dove parlare del proprio destino e chiedersi quale sia il modo migliore per aiutare chi amiamo senza autodistruggerci.

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